La salute dei migranti, il rapporto dell'OMS-Europa: una "foto" (tardiva) del drammatico presente



Certo, l’argomento è da qualche anno il tema più acuminato della agenda politica degli stati europei, e su di esso si gioca la tenuta stessa dell’Unione, come l’abbiamo finora conosciuta; a pochi mesi dall’appuntamento elettorale di maggio, la prudenza è d’obbligo. Certo, le agenzie delle Nazioni Unite hanno natura intergovernativa, con i singoli stati membri ci devono interagire, così non possono giocarsi la relazione fiduciaria sul terreno della critica politica. Per la Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), poi, si tratta del primo rapporto sulla salute dei rifugiati e dei migranti nei 53 paesi che formano la componente europea della Agenzia, ciò che forse spiega l’esitazione del principiante. Il rapporto è in buona sostanza una revisione della letteratura esistente, e presenta giocoforza le evidenze principali. Eppure resta un uggioso retrogusto, è inutile negarselo. Il lancio a Ginevra del Report on the health of refugees and migrants in the WHO European Region, a pochi giorni dalla sessione del Consiglio Esecutivo dell’Oms, arriva con consistente ritardo rispetto alla storia decennale dei flussi migratori in Europa.

  Certo, l’argomento è da qualche anno il tema più acuminato della agenda politica degli stati europei, e su di esso si gioca la tenuta stessa dell’Unione, come l’abbiamo finora conosciuta; a pochi mesi dall’appuntamento elettorale di maggio, la prudenza è d’obbligo. Certo, le agenzie delle Nazioni Unite hanno natura intergovernativa, con i singoli stati membri ci devono interagire, così non possono giocarsi la relazione fiduciaria sul terreno della critica politica. Per la Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), poi, si tratta del primo rapporto sulla salute dei rifugiati e dei migranti nei 53 paesi che formano la componente europea della Agenzia, ciò che forse spiega l’esitazione del principiante. Il rapporto è in buona sostanza una revisione della letteratura esistente, e presenta giocoforza le evidenze principali. Eppure resta un uggioso retrogusto, è inutile negarselo. Il lancio a Ginevra del Report on the health of refugees and migrants in the WHO European Region, a pochi giorni dalla sessione del Consiglio Esecutivo dell’Oms, arriva con consistente ritardo rispetto alla storia decennale dei flussi migratori in Europa.

  La responsabilità è soprattutto dei governi. Che solo nel 2016 hanno adottato una strategia europea su salute e migrazioni, e nel 2017 un programma di priorità. Almeno dai primi anni duemila, lo dico con qualche cognizione di causa in quanto direttrice allora di Medici Senza Frontiere (MSF) Italia, le organizzazioni umanitarie e mediche si sono cimentate in una produzione di dati e di relative analisi molto ricca, ancorché parziale, su vari aspetti della salute della popolazione delle persone rifugiate e migranti. Il ritardo pesa e non poco, vista la regressione culturale e politica che si è calcificata nel frattempo nelle politiche europee su questo versante (mentre partecipavo alla conferenza stampa si consumava la chiusura del Cara di Castelnuovo di Porto). Meglio di ogni altro ragionamento, la salute può far intendere anche ai decisori politici più riluttanti un dato inconfutabile: siamo tutti esseri umani, rifugiati o residenti in Europa, persone fatte di corpi, reazioni fisiologiche e processi identici, e la salute degli uni è una garanzia per la salute
di tutti.

Cosa dice il rapporto dell’Oms in proposito. I 53 paesi dell’Oms Europa abbracciano una popolazione di 920 milioni di
persone, il 10% della quale (90,7 milioni) sono persone migranti, anche di lunga data, che si sono spostate soprattutto per motivi di lavoro (solo in Russia ci sono 50 milioni di migranti provenienti dai paesi della vecchia Unione Sovietica). Ma accanto al desiderio di una vita migliore, c’è la violenza, ci sono i conflitti, i disastri naturali, gli abusi dei diritti umani che forzano molti a lasciare il proprio paese. Queste presenze rappresentano il 35% di tutta la popolazione migrante sul pianeta, che l’ONU calcola in ragione di 258 milioni di individui nel 2017. La proporzione di migranti internazionali e rifugiati nei paesi della regione europea varia dal 50% di presenza a Monaco e Andorra, a meno del 2% in Albania, Bosnia ed Erzegovina, Polonia e Romania. Meno del 7,4% sono rifugiati, ma la percezione dell’opinione pubblica in alcuni paesi europei è che la presenza dei rifugiati sia 3 o 4 volte superiore al loro numero effettivo.

 La regione UE dell'Oms è l'unica dove aument HIV-AIDS. Mentre l’idea comune associa ai flussi migratori le più esotiche malattie infettive, è bene dire subito che se la regione europea dell’Oms è l’unica al mondo a registrare un aumento della trasmissione del virus HIV/AIDS, questo non dipende dalla presenza dei migranti, ma dalla totale assenza di politiche sanitarie di prevenzione e controllo della malattia, soprattutto nei paesi dell’Est. Le persone che fuggono o emigrano sono esposte, certo, al rischio di  infezioni e malattie trasmissibili (vedi le infezioni respiratorie), ma ciò deriva perlopiù dalla mancanza di assistenza sanitaria durante il viaggio, dalla interruzione di eventuali cure, dalle insoffribili condizioni di vita nelle rotte migratorie. Spesso, sono le condizioni di vita e di sfruttamento nel paese di approdo che producono malattie infettive come la tubercolosi, gestite peraltro con competenza in tutti i paesi europei.

Tassi alti di diabete tra i migranti superiore alla media UE.  dati inducono a ritenere che siano piuttosto le malattie croniche e condizioni acute a interessare la popolazione in movimento – nel caso degli uomini, gli incidenti sul lavoro, ad esempio. Rifugiati e migranti hanno un tasso di incidenza, prevalenza e mortalità da diabete superiore alla media dei residenti europei, in particolare fra le donne. Risulta inferiore la percentuale di tumori, con l’eccezione del tumore cervicale nelle donne, salvo che le patologie tumorali nella popolazione migrante sono perlopiù intercettate e diagnosticate in fase avanzata, e con difficoltà di continuità della cura, con conseguenze irreversibili per la vita dei pazienti. Un capitolo importante concerne le vaccinazioni. Può essere che le persone migranti arrivino in Europa prive di una completa copertura vaccinale. Perciò serve una presa in carico immediata del sistema sanitario nazionale del paese ricevente, con un programma di vaccinazioni di base, soprattutto (ma non solo) per i bambini.

La sicurezza ha a che fare con l'accesso ai servizi sanitari. L’accesso ai servizi sanitari e sociali dei paesi ospitanti, occorre ribadirlo ai politici europei che non hanno ancora capito, secondo i consolidati principi di universalismo e di diritto alla salute, è una condizione fondamentale di sicurezza. E questo vale anche per la salute mentale: queste persone arrivano in Europa con pesanti fardelli di paure e violazioni dei diritti umani, prima e durante il viaggio. Depressione e ansia sono condizioni frequenti, accanto a forme di stress post traumatico, spesso trascurate. Anzi, peggiorano per le condizioni di incertezza e sfruttamento cui queste persone - in particolare donne e minori non accompagnati - sono sottoposte, in Europa. Ovviamente l’Oms non si sbilancia.

  "Governi impreparati ad affrontare i flussi migratori". ZsuZsanna Jakab, direttrice di Oms Europa, riconosce la mancanza di preparazione dei governi europei ad affrontare i flussi umani degli ultimi anni, ma non formula denunce su politiche che fanno male alla salute, e non ricorda neppure che i flussi sono in netta diminuzione. Si limita a citare la “riluttanza” di alcuni paesi a capire la posta in palio. Molto più seria del gioco sulle definizioni tra migranti economici, rifugiati, clandestini, illegali. O “profughi vacanzieri”, secondo la subcultura geopolitica del nostro ministro degli interni. Nulla si dice sul trattato di Dublino, che disciplina la gestione dei richiedenti asilo nei paesi europei. Uno dei determinanti politici della cattiva salute dei migranti in Europa. E della xenofobia che velocemente si diffonde tra le persone residenti nel nostro continente: epidemia che l’Oms farebbe bene a considerare per un prossimo, questa volta tempestivo, rapporto.



 

0 comentarios:

Publicar un comentario